Ogni giorno siamo ripetutamente bombardati da slogan che ambiscono ad innestarsi tra le nostre stratificazioni di certezze e opinioni: la reiterazione costante di un concetto viene registrata nella mente come qualcosa che è sempre stato parte di noi. Non c’è possibilità per il soggetto pensare che l’ipersensibilizzazione dell’idea di corpo in quanto tempio della salute perfetta possa rivelarsi, da un lato, una mera panacea per l’autostima, e dall’altro un potenziale, se non addirittura e ettivo, fattore patogeno.
“La cellulite è una malattia” è una treccia composta da circa 500 fili di ottone riflettente con lunghezza complessiva superiore ai 7 metri. Il gesto del districare nodi, raddrizzare i fili e intrecciarli a mani nude diventa un evento rituale della riflessione sul concetto di malattia che equipara il diabete e il cancro agli inestetismi della cellulite.
Every day we are repeatedly assailed by slogans aiming at grafting in the beddings of our certainties and opinions: the constant reiteration of a concept is registered in our minds as an intrinsic part of ourselves. There is no possibility for the individual to think that the hyper-sensitization of the concept of the body as a temple of perfect health can turn into, on one side, a simple panacea for self-esteem, on the other side a potential or even effective, pathogenic factor.
“Cellulite is an illness” is a braid made of around 500 strings of reflective brass with a total length of more than 7 meters. The action of unraveling and raveling the knots with bare hands becomes a ceremonial gesture about the reflection on the concept of illness, which compares diabetes and cancer to cellulite blemishes.