I lavori di Annaklara Galli narrano di alcuni aspetti della condizione contemporanea indagati dal punto di vista di una giovane artista polacca
classe 1989. La sua giovane età segnala la presenza di un lavoro agli esordi, ma non di un pensiero che rimane in superficie. Mentre la sua nazionalità indica il terreno in cui si innestano le radici del suo discorso. Un terreno aspro e insieme fertile, in cui nel tempo si sono sedimentati traumi che appartengono a una dimensione collettiva e insieme una cultura filosofica e storica ben rappresentata a titolo esemplificativo dal lavoro di Hannah Arendt.
Annaklara Galli in effetti lavora a partire da fratture e si muove su quel crinale che
divide gli opposti. La sua attenzione spazia dai legami tra significante e
significato, ai processi attraverso i quali l’individuo si definisce e si realizza,
fino a indagare i difficili rapporti che alcune realtà contemporanee
intrattengono con lo spazio individuale.
All’ampiezza di tematiche sondate, Annaklara fa sovente corrispondere
l’utilizzo di oggetti notevoli dello spazio fisico e interiore sui quali compie
operazioni di ribaltamento e slittamento di significati. In tal modo le sue
opere creano effetti di straniamento, a volte di shock, e rientrano all’interno
di quel rinnovato interesse per il perturbante che attraversa diversi ambiti
culturali. Definito da Anthony Vidler come «metafora di una condizione
moderna fondamentalmente invivibile», il perturbante è quel trasalimento,
quel disagio interiore che sovviene quando ciò che è familiare appare come
qualcosa di diverso. Solitamente segnala qualcosa di rimosso, un trauma, una
frattura, qualcosa che non si riesce a ricordare o ciò che non si desidera
vedere, poiché in opposizione con quel principio del piacere che regola
l’esistenza.
Sintomatico di tutta una serie di straniamenti e disagi che attraversano la
contemporaneità, il lavoro di Annaklara solleva questioni, genera domande,
interroga il mondo in cui viviamo, e in un’epoca in cui gli ideali della neoavanguardia sono più lontani che mai, assume posizioni critiche. La sua cifra,
nelle sue diverse declinazioni, è un dualismo che nell’oscillazione degli
estremi e a partire dalla sostanza emotiva che provoca porta a riflettere.
Intimus e Segreto (2016), si basano su oggetti legati alla cura del corpo femminile: flaconi, profumi, boccette sono disposti ordinatamente su
mensole. Tuttavia, le immagini e gli oggetti normalmente associati ai rituali di
pulizia, attenzione e valorizzazione del corpo assumono un significato altro.
Un flacone che dovrebbe contenere del sapone intimo custodisce in realtà le
sostanze ormonali che generano stress, paura e ansia. Mentre dei campioni di
profumi contengono al loro interno scarti organici del corpo. Nel momento in
cui si assume una posizione più penetrante che supera l’immagine esteriore
emergono stranianti contraddizioni tra il contenuto e il contenitore.
La medesima riflessione, spostata sul piano del discorso sociale, attraversa
Catalogazione sociale I (2014). Gli oggetti legati all’immaginario domestico si
ribellano ai relativi proprietari: le loro etichette segnalano dei ruoli sociali
ma individuano in realtà quel medesimo contenuto verso cui tutti tendiamo,
solo ceneri.
Il corpo umano e parti di esso sono alla base di Ricordo e Stesi i miei panni
(2015). Lo spazio del corpo è utilizzato in negativo e trasformato in un vuoto
delimitato da flaccide, sfibrate e sporche superfici. Ciò che ci è più familiare e
che ci identifica assume un significato ambiguo: massa, armonia di
proporzioni e bellezza si trasformano nei loro opposti.
Quanto vale la tua vita?
In 1750 g (2015) una bilancia pesa delle sezioni ossee i cui midolli riportano
le impronte di una moneta di euro. In effetti, nel nostro sistema economico,
numerosi sono i meccanismi attraverso cui tribunali, assicurazioni o sistemi
sanitari decidono quanto siamo preziosi.
In La cellulite è una malattia (2016) una treccia composta da fili d’ottone
riflettente evoca gesti amorevoli che però si trasformano in trappole:
quell’elemento, nel suo dipanarsi lievemente e morbidamente nello spazio,
disegna e si trasforma in un cappio. Qui Annaklara Galli compie un’incursione nella
sfera della dialettica tra lo spazio individuale e quello dei media: il titolo
dell’opera è lo slogan di una nota campagna promozionale diffusa da una
società multata per messaggi ingannevoli.
Opera interamente realizzata per un pubblico sordo cielo e muto (2014)
prende spunto dalla dialettica tra le attuali strategie di marketing urbano e lo
spazio personale. Realizzata in occasione di Expo 2015, quest’opera assume
una posizione critica circa il tema espositivo “Nutrire il pianeta. Energie per
la vita”. L’immagine gioiosa e popolare impressa su una tovaglia da tavola è
interrotta e disturbata dall’inserimento di una fotografia di Kevin Carter.
Vincitore del premio Pulitzer del 1994, tale scatto negli anni Novanta ha
testimoniato la carestia causata dalla guerra civile nel Sudan.
Sull’autodeterminazione, sia essa politica o sociale, sull’individuazione del sé,
si concentra Libertus (2016). La valigia, contenitore di cui ci si serve per
compiere il proprio viaggio, in cui si ripongono oggetti e vestiti prediletti o
ritenuti essenziali, contiene in realtà una maschera e relativo filtro utilizzati
durante il secondo conflitto mondiale in Polonia. Ciò che Libertus (lo schiavo
reso libero) porta con sé è qualcosa di “scomodo” e d’inquietante: è una
maschera per proteggersi da ciò che risulta tossico e dannoso a ciò che è
veramente essenziale: la propria libertà.
Un luogo notevole dello spazio fisico e di quello interiore, è al centro di Accondiscendenza, 2015. La porta, simbolo per eccellenza del superamento di soglie,
è resa difficilmente utilizzabile. Essa non è di semplice apertura poiché le
cerniere sono poste a ridosso della maniglia e la sua altezza di 165 cm non
permette agevoli passaggi. Quei criteri ergonomici che usualmente regolano
le caratteristiche fisiche delle porte sono dissestati. Accondiscendenza, permette di
fare l’esperienza dell’attuale difficoltà di aprire porte, di superare soglie, di
compiere passaggi. Siano essi passaggi tra la sfera privata e quella pubblica,
siano essi passaggi di crescita interiore.
Gabriella Lo Ricco - Milano, 25 gennaio 2017
Annaklara Galli often complements the variety of themes explored with the use of objects remarkably powerful both in the physical and interior space, where she alters and deviates their meanings. In this way, her works create alienating and sometimes shocking effects, which fall within that resurgent interest for “the uncanny” which is running in different cultural circles. “The Uncanny”, defined by Anthony Vidler as “a metaphor for a fundamentally “unhomely” modern condition”, is that tremor and inner feeling of distress occurring when something deemed familiar appears to be something different.
Gabriella Lo Ricco - Ciò che perturba (The Uncanny), 2016
Gabriella Lo Ricco - Ciò che perturba (The Uncanny), 2016